Il Monti’s Flying Circus e l’Italia che sale

monti-slogan-sale-jan13Non so chi abbia consigliato a Mario Monti lo slogan elettorale “L’Italia che sale”. Chiunque sia stato, deve aver pensato che stava lavorando a uno sketch del Monty Python’s Flying Circus. Non solo perché lo slogan si presta a essere trasformato – come sta accadendo – in un caustico ed efficace boomerang, “L’Italia for sale”, più in sintonia col sentire comune. Ma anche perché, senza sforzo, come nella miglior satira, lo slogan va a conficcarsi dritto e tagliente proprio nella piaga dei peggiori fallimenti del governo Monti. A salire, nell’ultimo anno, è stato infatti tutto quello che in Italia sarebbe augurabile che scendesse.

La balorda idea elettorale, si capisce, deve essere germogliata da quell’intuizione iniziale, per cui, quando Monti si è finalmente deciso a entrare nella contesa, l’ha fatto mirando a differenziarsi da Berlusconi. Da ciò l’enfatico annuncio, via Twitter: “Insieme…Saliamo in politica!”

Fin qui, niente da ridire o da ridere. E’ chiaro a tutti, tranne che agli ipodotati e ai berlusconiani, che c’è un abisso tra l’idea della politica che ha Berlusconi e quella che ne ha Monti. Se, dunque, uno “scende”, va benissimo sostenere che l’altro “sale.” Lo slogan è credibile: aderisce quanto basta alla realtà.

Ma da qui a dire che, con Monti, “sale” anche l’Italia, il passo è lungo, troppo lungo, dopo la precipitevole esperienza che abbiamo fatto, sotto il suo governo, nell’anno passato.

Anzi, è così esageratamente lungo, questo passo, da far da innesco – come nel più classico degli sketch – a un rovinoso inciampare nei limiti della realtà, con seguito di critiche, proteste e battibecchi; e poi spinte, insulti e botte in un accendersi delle reazioni piccate degli astanti, fino all’inevitabile comica finale: le torte in faccia.

Sentitomi, dunque, provocato anch’io dalla beffarda istigazione del Monti’s Flying Circus e del suo slogan “L’Italia che sale”, sono quattro le torte che, metaforicamente, provo ora l’urgenza di lanciare in faccia al premier: una per ognuno dei suoi quattro più vistosi fallimenti, che contribuiscono a tenere l’Italia proiettata in una discesa a rotta di collo verso lo sfascio.

Li chiamerò, questi fallimenti, le quattro D del suo governo, D come “discesa”, D come “disastro”. E anche D come “destra”, una posizione politica che, tanto nell’interpretazione irresponsabile di un Berlusconi, come in quella “responsabile” di un Monti, manca oggi degli strumenti culturali idonei a farci uscire dalla crisi. E il motivo è semplice: è dalla destra che sono nate – per essere poi coltivate come un dogma, e lasciate crescere incontrollate come un tumore – le idee all’origine dell’attuale tracollo di civiltà.

La prima torta in faccia, in risposta al primo fallimento, riguarda la Disoccupazione, “che sale”, e se ben misurata – come ho mostrato in Disoccupazione, dove sei? – sale anche molto più di quel che risulta dai dati ufficiali:

monti-italy-unemployment-rate-jan13

La seconda torta in faccia, in risposta al secondo fallimento, riguarda il Debito, “che sale”, giacché non possono essere le ottuse politiche di austerity a farlo scendere (manca nel grafico sotto il dato di fine 2012, per ora stimato – dallo stesso governo Monti – in aumento di quasi 6 punti al 126,4%):

italy-government-debt-to-gdp-jan13

La terza torta in faccia, in risposta al terzo fallimento, riguarda la Disuguaglianza, “che sale”. Un dato puntuale, come il coefficiente di Gini di solito utilizzato dagli economisti, per ora non c’è. Occorre tempo perché si rendano disponibili i dati e possa essere calcolato. Ma che le disuguaglianze economiche e sociali siano molto aumentate in Italia, nell’ultimo anno, non c’è dubbio. Lo ha riconosciuto lo stesso Monti all’Università Bocconi lo scorso novembre, in un dibattito moderato dal direttore del Corriere De Bortoli, e dallo stesso De Bortoli così sintetizzato in un tweet:

Naturalmente, invocare la lotta contro la disuguaglianza dopo averla attivamente prodotta, così come lamentare “l’iniquità” delle proprie politiche schermandosi dietro l’alibi della “necessità” fa parte di un vecchio e odioso armamentario di non sequitur della retorica politica. L’obiettivo di tanta contraddittorietà? Come diceva Truman, “Se non puoi convincerli, confondili.” 

Ci sarebbe da arrabbiarsi. Ma non sarà Sir Popper a perdere l’aplomb.

Torniamo dunque, per concluderlo, al nostro gioco delle torte in faccia. Ce n’è una quarta, infatti, che merita di essere lanciata in risposta a un quarto e decisivo fallimento relativo a un Differenziale che conta davvero. Mi riferisco non allo spread tra il costo del debito italiano e quello tedesco, che Monti ama citare, ma che nel breve-medio periodo è indicativo come un aquilone lasciato in balia dei mutevoli venti del mercato; ma al differenziale del costo del lavoro per unità di prodotto, ossia al differenziale di competitività, da cui dipende la possibilità di vendere i nostri prodotti e servizi e così creare occupazione.

Occorre dirlo? E’ un Differenziale “che sale” più che in ogni altro paese d’Europa, spingendoci “fuori mercato” e condannandoci al declino, come mostra quest’ultimo grafico (a cura di SocGen su dati Eurostat):

ez-unitlaborcosts-jan13

L’Italia “che sale” con Monti resta dunque quella sbagliata. Le boutade del suo Flying Circus di bislacchi propagandisti ci fanno volare lontano dalla realtà: vanno accolte con una risata e poi messe da parte. Non siamo al circo. E’ necessario cambiare.

Lascia un commento