L’austerity “keynesiana” del commissario Rehn

olli-rehn-2-mar13Il premio Nobel Paul Krugman le chiama “idee scarafaggio”: servono solo a contaminare il discorso ma per quanto uno si dia da fare a scacciarle, dimostrandone l’infondatezza, continuano a tornare. Si tratta di moleste idiozie che, simili a bacherozzi, possono annidarsi dovunque. Ma è l’ideologia dell’austerity, da un triennio dilagante in Europa, a esserne oggi uno dei più fecondi terreni di coltura.

Un buon esempio di “idea scarafaggio” è venuto in questi giorni da Olli Rehn, un finlandese nato cinquant’anni fa ai confini con il circolo polare artico e l’allora Unione Sovietica. Dopo essersi dedicato, per una dozzina d’anni, a tirar calci al pallone nel Mikkelin Palloilijat, la squadra del borgo natio, e aver sgomitato tra i rincalzi del ceto politico del suo Paese, Olli fu spedito poco più che trentenne a Bruxelles. Lì, dal 2004, si è incistato nella Commissione Europea – una formazione dove giocatori di terza fila e panchinari sono spesso bene accolti, com’è accaduto anche al nostro Antonio Tajani.

Il partito di Rehn – il Partito di Centro – è una forza agraria, conservatrice, gelosa delle autonomie locali, ostile al federalismo europeo e in origine contraria anche all’euro. Alle ultime elezioni ha avuto scarso successo, risultando solo la quarta forza del Paese, con 460 mila voti (poco più di quelli ottenuti, in Italia, da Oscar Giannino col suo Fermare il Declino), per lo più concentrati nelle piccole comunità rurali sparse per la gelida tundra finlandese. A Helsinki il Partito di Centro non è andato oltre il 5% dei voti.

Ma Olli non ne ha risentito. Lui infatti, dal febbraio 2010, è il potente Commissario Europeo per gli Affari Economici e Monetari. Insomma, è colui che dovrebbe coordinare le politiche economiche, integrare i mercati finanziari e monitorare le politiche fiscali dei 27 Paesi membri, così da contribuire alla stabilità dell’euro e alla prosperità di un’Unione di 500 milioni di cittadini.

I risultati, nel corso del suo mandato, non gli hanno mai dato ragione. Ma Olli è tenace. Attento soprattutto ai desideri della Cancelliera tedesca Angela Merkel, il commissario non lascia passare giorno senza martellare sul chiodo fisso dell’austerity. In una delle sue ultime uscite, a Londra, si è spinto persino a cooptare nell’impresa la buonanima di John Maynard Keynes, suggerendone un’audace rilettura.

Il livello medio del debito pubblico nella Ue – ha fatto notare Olli – supera il 90% del Pil. E questo significa che “non c’è possibilità alcuna di abbandonare la strada del consolidamento di bilancio.” Le politiche anticicliche di espansione fiscale per uscire dalla recessione – quelle che consigliava Keynes negli anni ’30 del secolo scorso – sarebbero perfette, se ce le potessimo permettere. Ma non possiamo, insiste Olli. Ed è così evidente che non possiamo, che “nelle condizioni di oggi non sono affatto sicuro che Keynes stesso sarebbe stato un keynesiano”.

Olli, Olli, ma cosa dici? Si potrebbe ridere, se non ci fosse da piangere di fronte a un commissario europeo all’economia che non solo ignora la storia economica in genere e quella del periodo tra le due guerre in particolare, non solo ignora Keynes e il suo pensiero, ma con ottusa nonchalance lo assolda pure dalla sua parte, nel partito dell’austerity.

Olli non lo sa. Ma se questi sono tempi di crisi e di alto debito, gli anni ’30, in cui Keynes consigliava ai leader politici, a partire dal presidente americano Roosevelt, di “prendersi cura della disoccupazione dopodiché il bilancio pubblico prenderà cura di se stesso”, furono tempi di crisi e di debito ancora maggiori.

In Gran Bretagna, patria di Keynes e assieme agli Usa uno dei due pilastri del sistema economico e monetario del tempo, il debito pubblico viaggiava al di sopra del 150% del Pil, come Krugman ha fatto presente in un post sul suo blog (da cui è tratto il grafico seguente):

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“La cosa incredibile – ha commentato Krugman – è il modo in cui persone che non conoscono né la teoria né la storia delle crisi del passato sono del tutto convinte di saper cosa fare nella crisi attuale.” E incredibile è come “la fiducia che nutrono nelle loro prescrizioni sia rimasta inalterata dopo che i fatti, sinora, hanno continuato a smentirli.” Ma la cosa più incredibile di tutte è che dei personaggi così siano arrivati e “rimangano ai posti di comando”.

Parole sacrosante, che purtroppo temo non ci aiuteranno a liberarci di un commissario che sembra fatto apposta per restare al suo posto, insensibile a tutto. Olli arriva dalla tundra subartica di Mikkeli, è sostenuto da un partito che rappresenta lo 0,1% dei cittadini europei, e – quel che più conta – si sta godendo l’apice di un insperato successo personale. E’ un uomo, dunque, perfettamente “capace di passare da un fallimento all’altro senza perdere il suo entusiasmo”, come avrebbe detto quell’acuto osservatore, e uomo politico europeo di tutt’altro spessore, che fu Winston Churchill.

Un commento su “L’austerity “keynesiana” del commissario Rehn

  1. Fab ha detto:

    Articolo fantastico!! Con toni ironici alla Warren Buffett!!

    Congratulations!!

    Fab

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