Liebe Angela, la misura ha vita più lunga

merkel-misuraHo seguito il discorso che Angela Merkel ha tenuto al World Economic Forum giovedì scorso. Molto di quel che ha detto si presentava, a un primo e superficiale ascolto, come condivisibile. Ma quel che alla fine ha lasciato in me il segno e orientato il mio giudizio è stata la sorprendente, macroscopica mancanza di senso della misura di cui la Cancelliera ha dato prova in un paio di cruciali valutazioni.

La Merkel ha giustamente insistito perché si adotti una più stringente regolazione dei mercati finanziari internazionali, un più efficace controllo del cosiddetto “sistema bancario ombra” e un più incisivo e coordinato contrasto contro le grandi frodi e la grande evasione fiscale: tutti fenomeni all’origine della crisi finanziaria e figli della globalizzazione “selvaggia”, che ha consentito a grandi gruppi economico-finanziari di approfittare del nostro “mondo liquido” per sottrarsi a ogni regola.

Convergenza ed equità

Riguardo all’Europa, ha incoraggiato – di nuovo a ragione – i politici a fare meglio e più a fondo il loro lavoro – o quelli che lei ama definire “i compiti a casa”. La Banca centrale, la Bce, ha potuto e potrà ancora fornire liquidità per guadagnare tempo nelle emergenze, ma non si può pretendere che risolva – con la creazione di moneta – i problemi generati dagli errori e dall’irresponsabilità della politica. E anche in questo caso, penso che la Cancelliera abbia in sostanza ragione: non tanto nella difesa di una Bce, che in questa crisi ha a lungo ecceduto in un rigorismo di maniera, quanto nell’esigere che la politica si faccia carico delle proprie responsabilità e torni al centro della scena, là dove è doveroso che stia.

Un compito che resta ancora quasi tutto da affrontare, ha continuato Angela Merkel, è quello di guidare l’Eurozona verso una graduale convergenza nei livelli di produttività e di competitività, rifiutando il compromesso al ribasso per cui quell’equilibrio, che oggi manca, andrebbe trovato al livello del “denominatore comune più basso”. Con l’aiuto dell’Europa, i singoli paesi europei dovrebbero impegnarsi in politiche concrete, adeguatamente monitorate, che consentano di migliorare la competitività là dove è più carente, così contribuendo al benessere dei loro cittadini e a un miglior equilibrio di tutto l’edificio europeo.

Anche questo è giusto e, a certe condizioni ed entro certi limiti, fattibile. Accordi chiari a livello europeo e la comune individuazione di obiettivi e di politiche di buon senso potrebbero aiutare, ad esempio, un paese come l’Italia a indebolire e forse superare le formidabili resistenze delle molte lobby di privilegiati: pasciute colonie di parassiti che sono da sempre una causa primaria dei nostri più gravi problemi, da quelli di competitività a quelli di iniqua distribuzione delle opportunità e del reddito (si veda, al riguardo, la mia lettera a Babbo Natale in questo mondo di ladri).

Confronti smisurati

Dov’è, dunque, il limite grave del discorso di Angela Merkel, che – temo – finisce per inficiarne le buone ragioni, pur presenti? Come accennavo, il limite sta in un senso della misura che mi è parso a più riprese del tutto carente – forse perché troppo tarato sulla peculiare situazione tedesca in un’Europa, invece, sempre più divisa, polarizzata e in allontanamento dal suo centro.

La Cancelliera ha esordito, ad esempio, definendo l’andamento recente della crescita in Europa come “abbastanza modesto”. Che si tratti di un eufemismo è dir poco. E comunque è un modo di inquadrare la realtà, che non aiuta a comprenderla né consente di identificare priorità adeguate a una fase in cui c’è una periferia europea, che soffre di devastanti, epocali crolli del Pil.

Ha insistito, Kanzlerin Merkel,  che il momento per le riforme strutturali è “ora”, perché è proprio la “pressione” generata dal ciclo economico sfavorevole a sollecitare la politica ad affrontare i nodi più scomodi – quegli stessi nodi che sono altrimenti i primi a venire nascosti sotto il tappeto quando la criticità della situazione si attenua.

A conferma della sua tesi, ha citato l’esempio della Germania, che nel 2005 dovette toccare i cinque milioni di disoccupati – pari al 12% circa della forza lavoro – prima di accettare una serie di impopolari riforme, le quali, poi, nel corso degli anni, hanno creato le basi per la ripresa e per la piena occupazione dei tempi più recenti.

Ma può reggere questo esempio, quando noi oggi – nella periferia europea – siamo in presenza di una crisi enormemente più grave, che manca tra l’altro di tutti quei sostegni – come una congiuntura internazionale effervescente – di cui beneficiò la Germania a metà della decade scorsa?

Se Angela Merkel cita, come condizione esemplare per una svolta, i 5 milioni di disoccupati tedeschi del 2005, è forse perché si rifiuta di mettere a fuoco la natura qualitativamente diversa della crisi che attanaglia oggi una buona parte della periferia europea. A beneficio suo, e dei molti che in Europa la pensano come lei, vorrei proporre il quadro riassuntivo offerto dalla seguente tabella (da Real-World Economics Review Blog), che illustra la “disoccupazione allargata” (broad unemployment) nei paesi della Ue, in base agli ultimi dati Eurostat relativi al terzo trimestre del 2012:

eu-broadunemployment-jan13

Come si nota, la crescita dei disoccupati, nell’ultimo anno, si è concentrata nei paesi già più in crisi, ossia – nell’ordine – in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia, dove la disoccupazione – nella definizione più ampia e veritiera, considerato l’attuale contesto di protratta recessione – viaggia tra il 25% (Italia) e il 35% (Spagna) della forza lavoro (di come interpretare i dati sulla “disoccupazione allargata” ho scritto in Disoccupazione, dove sei?).

I dati ci mostrano, dunque, un’enorme e crescente divaricazione tra il centro dell’Europa, stretto attorno alla Germania, e una periferia – che conta per un terzo circa della zona euro –  sempre più allo sbando sotto i colpi delle politiche di austerity.

Questo, allora, mi pare il problema. La Cancelliera Merkel identifica grandi temi per il superamento della crisi europea che, sul piano astratto, appaiono anche condivisibili. Ma quando cerca di tradurli in concrete priorità politiche, lo fa applicandoli a una rappresentazione della situazione europea che manca di realismo. E’ un po’ come un architetto impegnato a ristrutturare una casa le cui misure sono state tutte prese in modo sbagliato.

Perché tanta sciatteria in chi, invece, di solito brilla per la meticolosa, quasi maniacale cura del dettaglio? Cos’è che impedisce di vedere la realtà per quel che è?

Pregiudizi e senso della misura

A far velo c’è – penso – un pregiudizio interessato, da creditore strutturale, qual è la Germania: l’ossessione (sostenuta anche da quella creatura tedesca che è la Bce) per il rigore fiscale a tutti i costi, a tutela sia delle proprie esposizioni creditizie che del sacro dogma della stabilità.

L’urgenza di riportare l’Eurozona il più rapidamente possibile al pareggio dei bilanci statali, pur nel corso di una crisi finanziaria di dimensioni epocali, ha prima fatto imporre – a prescindere dalle molte e ben note controindicazioni – delle durissime politiche di austerity. E ora induce a occultare, per quanto possibile, le conseguenze di una così debilitante e inadatta terapia sulle economie che l’hanno dovuta subire.

Distorta per questo motivo la rappresentazione della realtà, diventa difficile se non impossibile discutere razionalmente dell’applicabilità di riforme “strutturali”, la cui giustezza si libra ormai in uno spazio di argomentazioni tutte astratte. Ma, quel che è peggio, abbandonato il contatto con la realtà, ciò che sempre più rischia di perdersi è la percezione di quanto sia alto il rischio che le “pressioni” per le riforme – auspicate dalla Merkel – si rovescino in un rifiuto dell’austera e arbitraria “oppressione” di stampo tedesco.

Il modificarsi della “pressione” in “oppressione” è un salto qualitativo che scatta al superamento di una non ben definibile, imprevedibile eppur reale soglia di tollerabilità. E’, in altre parole, una questione di misura non misurabile a priori: insomma, un problema di saggezza politica e non di algoritmi. Per questo mi preoccupa la mancanza di senso della misura di cui ha dato prova la Merkel nel suo discorso: è così, penso, che si rischia di far trapassare l’Unione verso un terzo e potenzialmente catastrofico stadio dell’attuale “crisi”.

Siamo già transitati dalla crisi finanziaria a quella economica, e da quella economica a quella della divaricazione economica della zona euro per deriva della periferia. Il rischio, ora, è che dalla deriva della periferia si passi all’ultimo stadio della malattia: l’aperto conflitto politico in un’Europa di nuovo divisa.

P.S.: Nel titolo faccio riferimento a un passaggio del Mercante di Venezia di William Shakespeare, là dove Nerissa dice: “Chi del troppo s’è saziato sta male come chi muore di fame. Perciò non è felicità da poco starsi nel mezzo: la superfluità s’accompagna più presto alla canizie, la misura ha vita più lunga.” (“They are as sick that surfeit with too much, as they that starve with nothing. It is no mean happiness, therefore, to be seated in the mean; superfluity comes sooner by white hairs, but competency lives longer”).

2 commenti su “Liebe Angela, la misura ha vita più lunga

  1. ihavenodream ha detto:

    Dobbiamo smetterla di dare tutta la colpa alla Germania. La Germania si è scritta le regole dell’area euro come voleva è vero, ma noi le abbiamo sottoscritte e non le abbiamo mai messe in discussione se non a bassa voce e sottobanco! E nessuno ha mai avuto il coraggio non perchè ha paura che i tedeschi siano contrari a “cambiare marcia”, ma perchè ha paura che i tedeschi siano favorevoli e pretendessero pero’ come è ovvio e giusto delle garanzie, per questo nuovo percorso. La Merkel sa che così non si puo’ andare avanti, perchè la recessione inizia a mordere anche l’economia tedesca come è normale che sia, farebbe volentieri delle riforme a livello europeo, si capisce da cio’ che dice e che lascia intendere, solo che non si fida di noi (e fa bene!) . Non dice ad esempio: l’euro non si puo’ stampare per nessun motivo al mondo, dice: non si puo’ pensare che stampare l’euro possa essere considerata la panacea di tutti i problemi degli stati, cioè traducendo: non è che iniziamo a stampare e voi aumentate la spesa a motore perchè tanto c’è l’euro! Anche questa storia dell’Austerity va un po’ ridimensionata. L’Europa chiede sostanzialmente il pareggio di bilancio, questa è la cosiddetta “Austerity” che ci viene imposta. Ora il pareggio di bilancio lo si puo’ fare in 2 modi: aumentando le entrate o diminuendo le uscite (tagliando le spese). Non è colpa della Germania se i nostri politici e dirigenti non sono in grado di tagliare il costo dello stato e quindi vogliono raggiungere il pareggio solo aumentando le tasse!
    Se il nostro futuro primo ministro andasse dalla Merkel e le dicesse: allora Angela noi abbiamo bisogno di due cose: 1.che la bce si faccia carico del nostro debito pubblico, 2.che stampi euro coi quali finanziare la nostra crescita e ce li “regali” per così dire (tanto se sono nuovi di stampa che gli frega di essere rimborsata?); in cambio noi facciamo tagli in bilancio fino a colmare il disavanzo. Beh pensa che la Merkel o chi per lei in Germania direbbe di no? Io non credo, semmai sarebbe Hollande ad essere scettico 🙂

    • Gentile ihavenodream,

      mi permetta di dirle che il suo commento è un po’ fuori tema. Tende, cioè, a ignorare le questioni che io ho posto nel mio articolo. E questo, capirà, non è mai un buon modo di cominciare una conversazione.

      Comunque, non ho problemi ad affrontare, in poche parole, alcuni dei temi che lei ha voluto porre:

      1) non sono certo io a dare tutte le colpe alla Germania. Per quel che mi riguarda, ho criticato per anni, pubblicamente, il governo Berlusconi; critico oggi il governo Monti; critico la Bce; e crtico la Germania del governo Merkel: a mio modo di vedere, come ho più volte scritto, hanno tutti colpe gravi, variamente distribuite. Così come hanno responsabilità altri attori – extraeuropei, sovranazionali, del settore privato – che hanno contribuito in vario modo a spingerci dove siamo – e cioè a un punto che pare a me molto più grave di quanto non si tenti di rappresentare sui media mainstream.

      2) sulla disponibilità a esercitare flessibilità da parte dell’attuale maggioranza in Germania, penso che lei si illuda. C’è un segmento molto potente dell’establishment tedesco che attacca la Cancelliera da destra, esigendo meno flessibilità e più rigore, e che resta molto sospettoso delle furbe manovre di Draghi alla Bce. D’altra parte, basta pensare a tutte le porte rumorosamente sbattute dai vari rappresentanti tedeschi che negli ultimi anni hanno rassegnato le dimissioni dai loro alti incarichi alla banca centrale europea.

      3) sull’austerità, infine, penso che si illuda ancor di più. Mi scusi, sa, ma il suo atteggiamento blasé mi pare quello di chi, sino a oggi, non solo non è stato toccato dalla crisi, ma neppure ha saputo vedere le privazioni di decine di milioni di suoi concittadini – italiani e/o europei. Nell’ultimo quinquennio la Grecia ha perso il 20% del Pil, l’Italia il 7%, l’Irlanda il 6,5%, il Portogallo il 6%, la Spagna il 4%. In tutti questi paesi, la disoccupazione – quella vera, quella che conta, quella cosiddetta allargata anche ai lavoratori “scoraggiati” – oscilla tra il 25% e il 35% della forza lavoro. In questa situazione, le entrate fiscali collassano e la spesa sociale si impenna. Esigere il pareggio di bilancio – in una fase di ciclo fortemente recessivo e in tempi estremamente ristretti – è controproducente sotto il profilo economico, perché aggrava la crisi, è illusorio sotto il profilo dell’equilibrio finanziario, perché lo rende sempre meno raggiungibile, ed è pure – senta bene – crudele sotto il profilo sociale e umano. A meno, beninteso, di non riuscire a far gravare quasi tutto l’onere del risanamento attingendo là dove la ricchezza c’è ed è abbondante. Ma sappiamo che questo non si fa – in parte perché l’opposizione ideologica è forte, in parte per un motivo pratico più facilmente comprensibile: la grande ricchezza saprebbe bene come correre immediatamente ai ripari, nei nostri tempi di grande libertà e velocità di movimento dei capitali.

      Cordiali saluti,

      Giuseppe B.

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