I critici di Berlusconi, che ne chiedono le dimissioni, sarebbero dunque dei moralisti. Sepolcri imbiancati intenti a rivolgere contro gli altri un rigorismo etico che si guardano bene dall’applicare a sé stessi. Guardoni frustrati capaci solo di spiare nella privacy altrui.
Contro questi immorali moralisti si tratterebbe di innalzare i vessilli liberali dell’evoluta civiltà di cui sono portatori i Ferrara e gli Sgarbi, gli opinionisti a cui Berlusconi ha demandato il compito di perfezionare, dal prime time di Rai Uno, l’educazione civile degli italiani.
“In mutande ma vivi” – questa è la missione politica che ci viene vigorosamente proposta, il futuro che come nazione siamo chiamati a costruire.
Ora, in una simile visione delle cose, dietro al roboante, fantasmagorico e narcotizzante incalzare del verbo dei Ferrara e degli Sgarbi, c’è un’elementare incongruenza. Se Berlusconi e i suoi aedi sono così convinti di essere nel giusto, perché – per sostenerlo – devono contrabbandare come vera una versione dei fatti palesemente falsa?
“Non ho mai pagato una donna”, dice Berlusconi. E’ credibile? No. Piuttosto, il flusso dei “prestiti infruttiferi” che escono dai suoi conti (i “regalini”, nel gergo ipocrita della prostituzione d’alto bordo) è un fiume in piena.
Il bunga bunga come innocente e molto occasionale (non più di una volta al mese) “divertirsi, ballare, bere qualcosa”. E’ credibile? No. Abbiamo tutti capito cos’è il bunga bunga: l’ossessivo, trito, volgare rito di consumismo sessuale di un poveraccio, solo, incapace di sentimenti e bisognoso di titillare in continuazione il proprio narcisismo, come le controparti femminili sono le prime a raccontare.
La telefonata alla Questura di Milano (versione 1) fatta per “dovere istituzionale”, per ragione di Stato, per evitare la crisi internazionale che avrebbe potuto essere scatenata dal fermo di Ruby, “nipote di Mubarak”. E’ credibile? No. Anzi, è ridicolo, una stupida trovata che ha fatto imbufalire Mubarak per primo.
La telefonata in Questura (versione 2) fatta per “generosità”, per un impulso tanto magnanimo quanto ingenuo, per “aiutare Ruby”, ragazza in difficoltà. E’ credibile? No. Le cure paterne di Silvio hanno finito per tradursi nell’affidamento della minorenne marocchina a una prostituta. Ma che bel “papi“! Ma che modello di cura e responsabilità! E’ evidente che l’unico interesse di Berlusconi era aiutare sé stesso.
Si potrebbe continuare. Ma quel che qui importa è capire cosa sia il moralismo, chi siano i veri moralisti. E perché siano pericolosi per la democrazia.
Democrazia e supremazia del vero
Sul “Rubygate” e la saga del “bunga bunga” non si è alzata all’estero una voce in difesa di Berlusconi. Solo censure, sgomento, inviti ad abbandonare la vita pubblica. Nessun credito alla sua pretesa di essere vittima del complotto di magistrati eversivi. Ferrara, Sgarbi, e gli altri cantori berlusconiani, che sono uomini di mondo, se ne sono accorti?
I fatti, per quanto incompleti, fuori d’Italia sono stati raccontati, spiegati, compresi. La versione accusatoria dei magistrati di Milano, e quella difensiva di Berlusconi, sono state messe a confronto. Un giudizio, nella pubblica opinione, si è formato, com’è giusto che sia, senza dover attendere un processo, che resta necessario nell’ambito penale ma è a questo punto superfluo ai fini di una valutazione morale e politica. Altrove, ormai, la vicenda è oggetto solo dell’interesse dei comici: un capo di governo come il nostro, purtroppo, è semplicemente ridicolo.
Viviamo in un mondo di moralisti? Tutt’altro. E’ che fuori d’Italia la democrazia ancora si nutre dell’indipendente accertamento dei fatti e di una libertà di critica ancorata al fondamento della supremazia del vero sull’utile.
Scrive Tzvetan Todorov in “Lo spirito dell’illuminismo” che il moralismo di cui una società democratica si deve preoccupare è quello di chi ritiene che la sua visione del “bene” domini sul vero al punto da giustificare la manipolazione dei fatti. Insomma, per stare a noi, sul Rubygate fa del moralismo chi cerca di seppellire la storia sotto un cumulo di menzogne interessate e non chi esprime critiche informate, che sono anzi il sale della democrazia.
Come notava il filosofo Leszek Kolakowski, in un commento a “1984” di Orwell, distruggere la distinzione tra verità e menzogna, tra finzione e realtà in modo da poter sempre e comunque affermare la prevalenza dell’utile e del conveniente è il modo di procedere di ogni totalitarismo, il cui trionfo si compie quando “non si può più accusarlo di mentire, perché è riuscito ad abolire l’idea stessa di verità”.