Lunedì sera Giuliano Ferrara esordisce, subito dopo il Tg1, col suo nuovo programma Qui Radio Londra, che andrà a occupare nel palinsesto di Rai Uno il posto nobilitato, dal 1995 al 2002, da Il Fatto di Enzo Biagi.
Già la scelta del titolo, le brevi dichiarazioni d’intenti rese da Ferrara in questi giorni, e il suo curriculum, bastano per dire che non vediamo l’ora di non vedere una trasmissione del servizio pubblico, la quale si annuncia, sotto diversi punti di vista, come una presa in giro.
Intanto, perché Qui Radio Londra? Il Fatto di Biagi si chiamava così perché in brevi e penetranti istantanee sviscerava la notizia del giorno. Qui Radio Londra, per converso, richiama alla mente l’arguto motto di Voltaire, il quale del sacro romano impero diceva che “n’était en aucune manière ni saint, ni romain, ni empire”.
Il programma di Ferrara non è radio, non viene da oltremanica (ma al massimo andrà, cappello in mano, oltretevere), e soprattutto non si vede come possa ispirarsi all’originale Radio Londra, nato nel 1938 per offrire un’informazione libera a un’Europa asservita ai regimi nazi-fascisti. Del famoso programma radiofonico della Bbc sarà, semmai, una sguaiata parodia.
Sotto il fascismo ascoltare Radio Londra era proibito. Chi lo faceva rischiava due mesi di galera e mille lire di multa (circa 500 euro di oggi). Molti italiani, però, si ingegnavano per sintonizzarvisi tale era la sete di informazioni credibili in un paese che, per essersi troppo a lungo piegato alle false e retoriche veline di regime, stava pagando con una guerra criminale e distruttiva un prezzo infinitamente più gravoso.
Ferrara, riproponendoci ora il suo Qui Radio Londra, vorrebbe farci credere – con grande sprezzo non del pericolo ma del ridicolo – di essere, proprio lui, la voce libera alzatasi a squarciare il velo di propaganda che ci impedisce di conoscere la verità. Ma dove sono, quali sono gli oppressivi poteri, che il nostro combattente per la libertà si accingerebbe a sfidare, ben pagato, dalla comoda e accogliente trincea del prime time di Rai Uno?
La dichiarazione di guerra dell’intrepido Ferrara si poteva leggere, nei giorni scorsi, in un’intervista a la Repubblica: “È uno scandalo sapere di Berlusconi quello che sappiamo. La crociata neopuritana è la vergogna dello Stato italiano”. E poi ancora: “Spero di fare polemica, di rompere la cappa di ipocrisia, di dispiacere a certi giornali, a certi commentatori. L’Italia è occupata non da Berlusconi, ma da una mentalità, da un cultura e da un modo di essere delle élite che mi fa venire l’orticaria”.
In un’Italia dove l’80% della gente si informa solo in tv, e dove le tv sono in mano a Berlusconi, l’urgenza del Ferrara sedicente libertario è di sparare dalla tv berlusconiana contro qualche giornale di un’urticante (per lui) ma gracile élite; è di proteggere il suo munifico datore di lavoro – capo del governo, padrone di una servile maggioranza parlamentare, monopolista dei media e controllore di molti gangli dell’economia nazionale – dai fastidi di un’immaginaria “crociata neopuritana” in un paese da sempre cattolico, dove all’ombra del crocifisso ha in genere prosperato un’asfittica amoralità.
Comunista negli anni ’70, craxiano negli anni ’80, berlusconiano da quando Berlusconi fece il suo primo ingresso a palazzo Chigi, e informatore della Cia nei ritagli di tempo, Ferrara richiama una tipologia di intellettuali parolai dai quali l’Italia non ha mai avuto nulla da imparare: quelli che, con verve e vigore pari alla “smutandata” cortigianeria, scelgono la protezione del potente di turno, hanno il coraggio delle sue idee (assai meno delle loro), e ne contrabbandano i materiali interessi come ideali battaglie di libertà. Insomma, più che intellettuali, dei triviali opportunisti.