In tempi di crisi, quando le sfide si fanno più pressanti, la tendenza di molti è a far tacere la ragione e ad affidarsi a qualche fede. Per i venditori di fedi, è una manna dal cielo, come testimonia l’abbondanza di offerte oggi sul mercato: un vasto assortimento che va dalla fede nichilistica nella fine del mondo a quella tecnocratica nell’infinita perizia di un qualche “esperto”, contemporanea incarnazione dello sciamano.
Di quest’ultima fede si è fatto ardente apostolo l’ingegnere Sergio Marchionne – un tipo molto razionale quando si tratta di organizzare fabbriche, operai, bielle e pistoni, ossia gli strumenti del suo lavoro; ma molto meno ragionevole, a quanto pare, quando si tratta di alzare lo sguardo e condividere i possibili fini della nostra comune umanità. Marchionne, dunque, non contento – mentre si trovava a Bruxelles – di aver definito “città piccola e povera” la grande Firenze, faro di civiltà, trasferitosi a Londra in un inquieto e instabile peregrinare ha voluto dire la sua anche su Mario Monti, esprimendo l’auspicio che “stia in carica per sempre.”
L’avrà forse detto per entusiasmo. Ma uno nella sua posizione dovrebbe anche imparare a misurare le parole. Quel “per sempre”, infatti, nega due millenni e mezzo di saggezza politica. Già Socrate capì che è nella consapevolezza del limite, nella possibilità di critica e nella capacità di autocritica, e infine in un fondamentale egualitarismo che solo si può fondare una buona politica.
L’elevazione di un individuo a semidio è la ricetta dei totalitarismi, causa costante di disastri. Lo sapevano gli antichi Romani, che nell’età feconda della Repubblica si fecero governare dai consoli, ossia, etimologicamente, da “coloro che camminano insieme”: erano due, in modo tale da potersi “consultare” e controllare a vicenda, e venivano eletti per un solo anno.
Lo stesso principio della limitazione del potere sta alla base delle democrazie moderne – la forma di organizzazione politica che ha reso civile ed evoluto l’Occidente. Come ci ha insegnato Karl Popper, non è che la democrazia sia importante perché ci consente di scegliere “chi ci deve comandare”. Questo, infatti, è un falso quesito: siamo tutti fallibili, e nessuno – neppure Monti – è così superiore agli altri o così onnisciente e onnipotente da poter risolvere, da solo, i problemi complessi di una società complessa come la nostra.
La democrazia è importante perché ci offre una risposta, insuperata, a “come possiamo limitare il potere di chi ci comanda”, e, così facendo, mettere rimedio agli inevitabili errori attraverso un graduale, costante e non violento processo di riforme. Quanto alla soluzione dei problemi, dobbiamo parteciparvi tutti. L’attuale crisi sarà superata se torniamo a occuparci, con comune buon senso, delle vicende pubbliche. Non lo sarà se pensiamo di potere sfuggire alle responsabilità, offrendo una delega in bianco a un qualche presunto salvatore, a un qualche falso semidio.
L’idea, dunque, che “non ci sia salvezza al di fuori di Monti” (“extra Monti nulla salus”) e l’auspicio che Monti ci governi “per sempre” sono profondamente sbagliati. Lo sono, se possibile, ancor di più perché riferiti all’Italia – un paese dove il modello cattolico del pontificato a vita, già fonte di degenerazione per la Chiesa, ha costituito un pessimo riferimento per la vita pubblica.
Solo negli ultimi novant’anni abbiamo fatto tre esperienze di “insostituibilità” ai vertici della politica, tutte e tre finite in modo catastrofico: prima il ventennio fascista, conclusosi con una guerra tragica, combattuta dalla parte sbagliata; poi il quarantennio democristiano, finito nella bancarotta della prima repubblica e nel dissolvimento di un sistema di partiti, che ha lasciato politicamente afoni molti italiani; infine un ventennio berlusconiano, prossimo ora all’estinzione in un trionfo di corruzione, volgarità, malaffare.
Sia Mussolini, che la Dc, che Berlusconi furono acclamati – agli esordi – come “salvatori”: Mussolini era la salvezza dai dissesti della prima guerra mondiale e dalla minaccia della rivoluzione d’Ottobre; la Dc era la salvezza dal collasso della seconda guerra mondiale e, di nuovo, dalla minaccia dell’espansione comunista in Occidente; Berlusconi era la salvezza dallo sfascio della prima repubblica e, a suo dire, dalla terribile minaccia del comunismo in un solo paese, il nostro.
Incontrollati, questi salvatori sono diventati i peggiori nemici del buon governo della nazione, a conferma del detto di Lord Acton – sintesi del liberalismo anglosassone ottocentesco – secondo cui “il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe in modo assoluto”.
A giudizio di Marchionne, dovremmo ora riprovare lo stesso esperimento con Monti – estendendogli l’ennesima delega in bianco e “per sempre”. Lo dico senza acrimonia: Marchionne o non sa tenere a freno la lingua, o non ha capito niente.