Belpietro e il giornalismo double face

belpietroProspera in Italia un tipo di giornalismo che chiamerò “double face”. Per capire di che si tratta torniamo a una vicenda della scorsa settimana, che ha visto protagonista Maurizio Belpietro, un giornalista che da quindici anni fa il direttore – prima del Tempo, poi del Giornale, quindi di Panorama e ora di Libero – ed è un ospite tra i più ricercati dei talk show televisivi.

Belpietro cura anche una rubrica – La telefonata – all’interno del programma Mattino Cinque su Canale 5. Lunedì della scorsa settimana ha intervistato Silvio Berlusconi, all’avvio di una stagione di impegni giudiziari che il premier stava per inaugurare, quello stesso giorno, con un bagno di folla osannante (“Sei un mito!”) all’uscita del Tribunale di Milano, dove si celebrava la prima udienza del processo Mediatrade.

Il succo dell’intervista è tutto nelle prime battute. Ecco cosa ha detto Berlusconi:

“(Il processo Mediatrade) è il venticinquesimo processo a cui io partecipo come imputato. Ventiquattro processi si sono conclusi con archiviazioni e assoluzioni con formula piena per non avere mai commesso il fatto. Me ne restano sei nel penale e uno nel civile. Tutto questo in diciassette anni, con oltre mille magistrati che si sono occupati, senza successo bisogna dire, della mia persona e delle mie aziende.”

“Io prima non avevo avuto nessun rapporto con la giustizia in tanti anni da imprenditore. Io credo che anche questo (processo, ndr), naturalmente, rientra come quelli precedenti in un tentativo che viene fatto per cercare di eliminare il maggiore ostacolo che la sinistra ha nella riconquista del potere e si tratta di accuse che sono non solo infondate ma anche ridicole.”

Contestazioni da parte di Belpietro non ce ne sono state. Segno, vien da pensare, che non c’era proprio niente da eccepire. Tutto vero e, dunque, tutto bene. Ma è davvero così?

False premesse

Torniamo, un po’ più analiticamente, alle affermazioni di Berlusconi:

1) Ho già subito ventiquattro processi.

2) Si sono tutti conclusi con archiviazioni e assoluzioni con formula piena.

3) Ho subito i processi, guarda caso, nei diciassette anni trascorsi dalla mia discesa in politica.

4) Se ne sono occupati, addirittura, più di mille magistrati.

5) Prima della mia discesa in campo nel 1994, in tanti anni da imprenditore, non avevo mai avuto a che fare con la giustizia.

6) Anche il processo Mediatrade è parte di un complotto politico-giudiziario con cui la sinistra cerca di eliminarmi per riconquistare il potere. Le accuse (di frode fiscale e concorso in appropriazione indebita) sono infondate e ridicole.

Quante di queste affermazioni sono vere? Tralasciando, per un momento, l’ultima – di natura più complessa – le prime cinque sono fattuali, e dunque di facile accertamento. Sono tutte false.

Berlusconi non ha subito ventiquattro processi, non se ne sono occupati più di mille magistrati (un numero stravagante), e soprattutto i procedimenti giudiziari a suo carico non iniziano nel 1994 con l’ingresso in politica (la prima inchiesta è del 1983) e non hanno portato sempre ad archiviazioni e assoluzioni con formula piena. Verificarlo è semplice, ad esempio su una dettagliata pagina di Wikipedia, dedicata alla vicende giudiziarie del nostro premier.

In otto casi Berlusconi se l’è cavata – quando la sua colpevolezza o quantomeno non innocenza era stata accertata – grazie ad amnistie, a depenalizzazioni del reato (introdotte da leggi ad personam approvate apposta per salvarlo) o a prescrizioni abbreviate per lo più per effetto di quelle stesse leggi ad personam.

In uno di quegli otto casi, uno dei più gravi (corruzione nel processo Mondadori), la prescrizione abbreviata gli fu invece riconosciuta in virtù di una bizzarra circostanza attenuante: l’essere Berlusconi nel frattempo diventato capo del governo.

Gli antichi Romani avrebbero più sensatamente osservato che “dignitas delinquentis peccatum auget, ossia che “l’elevata posizione del reo aumenta la gravità del reato”. Dai loro governanti loro esigevano virtù superiori alla media. E anche per questo furono per secoli un faro di civiltà. Ma duemila anni dopo, noi che non gli somigliamo ci siamo accontentati del principio contrario.

Falsa conclusione

Per arrivare ora alla tesi numero 6), quella del complotto, pare evidente che almeno nel caso Mondadori (ma non è l’unico), Berlusconi sia stato, piuttosto, il beneficiario di un trattamento coi guanti.  Mandarlo in galera, in quella vicenda, era per lo meno possibile. E per dei giudici ostili si sarebbe trattato di un gioco da ragazzi. Ma i giudici decisero altrimenti. Oltre che complottardi erano anche degli svitati?

Più in generale, se per proporre la tesi del complotto agli ascoltatori di Canale 5 Berlusconi ha dovuto farla poggiare su cinque premesse fattuali tutte false, potrà mai la tesi stessa essere vera? Forse solo a condizione di ammettere che il nostro premier è, pure lui, un mentecatto.

Chi se non un pazzo, essendo sul serio perseguitato da un intrigo così macroscopico (un mega complotto contro un capo di governo, dipanatosi incessantemente nell’arco di 17 anni), avrebbe scelto di far ricorso a un cumulo di falsità e fabbricazioni per denunciarne l’esistenza?

Nel complesso, poi, gli esiti dei procedimenti giudiziari – in 28 anni di rapporti con la giustizia – sono stati talmente vari da rendere priva di senso quell’idea di una cospirazione “sistemica”, che Berlusconi va propagandando. Un sistema ha una sua organicità, di cui nel suo caso non c’è traccia.

Non solo. Dei risultati possibili – 1, x, 2 – è mancato solo il carcere, l’esito più prevedibile se una combine ci fosse stata davvero, tanto più che è proprio il premier ad accusare la magistratura di un potere enorme, eccessivo, da ridimensionare. Ma come? Dopo 17 anni di complotti da parte di un potere giudiziario così livoroso, monolitico e onnipotente, Berlusconi è ancora capo del governo senza aver mai subito una condanna?

Insomma, da qualsiasi parte la si guardi, questa del complotto ha tutti i tratti distintivi di un’assurda costruzione di fantasia.

Due facce, due verità, nessuna verità

Vorrei a questo punto tornare a Belpietro, il nostro modello di giornalismo “double face”.

Giovedì scorso, Belpietro era ospite del programma Annozero, condotto da Michele Santoro. In quella sede, Marco Travaglio, nel suo solito intervento, ha proposto un accurato riepilogo delle vicende giudiziarie di Berlusconi, e ha opposto – alle fanfaluche berlusconiane – diverse delle obiezioni che ho appena esposto. Ecco il filmato con Travaglio:

E Belpietro, che doveva fargli da contraddittorio? Imperturbabile. Come non aveva avuto nulla da eccepire alle “verità” (false) di Berlusconi, da lui intervistato, così non ha avuto in sostanza nulla da ridire, tre giorni dopo, neppure sulle opposte verità (vere) di Travaglio.

In altre parole, è come se il direttore di Libero avesse pensato: a ogni pubblico il suo.

Il giornalismo “double face, dunque, non ha imbarazzi ad ammettere due facce e due verità. E siccome le verità, se possono essere due, possono essere anche centomila o nessuna, ecco che il giornalismo alla Belpietro ci annuncia un mondo liberato dall’ossessione della verità. “E chi se ne frega della verità!” Il problema, ha fatto capire lui ad Annozero, è un altro.

Il problema del potere

Dopo aver denunciato i presunti “trucchi” a cui i pubblici ministeri del processo Mediatrade avrebbero fatto ricorso per spostare in avanti i termini di prescrizione, Belpietro è sbottato dicendo: “Ma in una situazione del genere che va avanti da diciassette anni, secondo voi uno non cerca di difendersi?”

Ovvero, da un pretesto piccolo piccolo è passato di slancio a una generalizzazione grande grande, riproponendo la tesi, nuda e cruda, del complotto, e in sovrappiù la necessità di farvi fronte con ogni mezzo a portata di mano.

“E’ evidente – ha detto – che uno comunque cerca di difendersi. Berlusconi cerca di difendersi con i mezzi di cui dispone…(troppi, anzi eccessivi, ndr). Fa delle proposte che ritiene utili per salvare un governo eletto dagli italiani. Mentre qualcun altro ritiene di abbattere quel governo per altra via, giudiziaria. Questa è la situazione in cui noi siamo precipitati, dalla bellezza di diciassette anni.”

A Belpietro, ad Annozero, ha dato manforte anche l’ex marxista, piduista e craxiano e attuale capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, il quale ha sostenuto:

Qual è il vero reato di Berlusconi? Scende in campo e copre quello spazio politico di centro che era stato spazzato via (da Mani Pulite, ndr). Da allora c’è stato un salto di qualità sul terreno dell’attacco giudiziario…La vita politica italiana è truccata per l’esistenza di due pesi e due misure (per l’uso politico che si fa della giustizia, ndr). E allora facciamo che ognuno fa la sua battaglia.”

Qui finalmente si capisce qual è il nocciolo di questi argomenti.

Stato di diritto e tirannide

Al di là delle fumose e indimostrabili chiacchiere sul complotto anti-berlusconiano, che appaiono per quel che sono – puri pretesti – la sostanza sta nella sfida a “fare ognuno la sua battaglia, a “usare comunque i mezzi di cui si dispone”.

Nessuna indicazione di limiti. Come scappò detto nel 1996 a Cesare Previti: “Se vinciamo, stavolta non faremo prigionieri”.

Il fine, il potere, giustifica qualsiasi mezzo. E in questa celebrazione della politica nelle sue più machiavelliche e assolutistiche espressioni, dello stato di diritto non resta nulla.

Non c’è verità perché esiste solo la convenienza. Non c’è rispetto per i cittadini, giacché il popolo è disprezzato come una massa da manipolare, capace solo di credere e obbedire. Non c’è modo di condurre una competizione politica in base a regole condivise, poiché la politica è ridotta a una guerra permanente, “noi” contro “gli altri”, divisi da una fattura che nessun vincolo sociale può più colmare.

Scrive Tzvetan Todorov, in “Lo spirito dell’illuminismo”, che “per proteggersi dall’abisso” in cui rischia di trascinarci la “vertigine della potenza”, si deve riconoscere che “non bisogna giocare con la verità.” E Alexandre Koyré, in un fenomenale libricino del 1943, intitolato “Sulla menzogna politica”, ammonisce che sono i regimi totalitari a essere “fondati sul primato della menzogna.

Nelle democrazie liberali, infatti, è la verità – quella possibile, con la v minuscola, che dobbiamo cercare senza essere mai in grado di possederla – a costituire l’unica grande difesa del cittadino contro gli arbitri del potere.

Il giornalismo “double face”, indifferente alla verità, fa invece da utile servo e da battistrada a una politica machiavellica che usa la menzogna per guadagnare la fiducia delle masse e ridurre all’impotenza, con ogni mezzo a portata di mano (come le leggi ad personam), qualsiasi opposizione.

Questa è la strada che porta alle tirannidi. E se da questa strada non si torna indietro, si prospetta per l’Italia un futuro non europeo ma da sponda sud del Mediterraneo. Lì, per divincolarsi dalla presa letale di un potere politico corrotto, liberticida e causa di sottosviluppo, non è rimasto che lo strumento della protesta e della rivolta.

Un commento su “Belpietro e il giornalismo double face

  1. Fab ha detto:

    Le ultime parole vergognose di Cicchitto:

    “Coloro che sovrintendono alla lotta all’evasione fiscale e in primo luogo il dottor Attilio Befera (il direttore dell’Agenzia delle Entrate ndr) devono avere la consapevolezza che operazioni come quelle fatte a Cortina, con controlli a tappeto in tutta un’area solo perché presumibilmente popolata in queste vacanze da ricchi, sono del tutto inaccettabili e chiaramente ispirate ad una confezione ideologica del controllo fiscale”.

    Fonte:

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/04/nasce-cortina-partito-ladri/181625/

    Cordiali saluti.

    Fab

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